Napul'è ... Macchiette e Canzoni
a cura di Antonio Carluccio e Vincenzo De Michele
Mica è facile provocare una risata. Stimolare, alludere sessualmente, dire e non dire. Non serve soltanto il talento scenico, però. Mai come in questo caso veramente è legittimo dire che ci vuole il fisico. Magari senza essere brutti, ma almeno con una faccia irregolare, un po' di pancetta, qualche minima dote ginnica. Per esempio la capacità di roteare il bacino, di agitare i gomiti e molleggiare il collo. Di sapersi travestire. Sennò a guardarti in palcoscenico la gente non si diverte per niente.
La Macchietta va da Nicola Valente a Nicola Maldacea, da Bernardo Cantalamessa (autore della prima incisione documentata dal mercato discografico: guarda caso, "' A risa") a Trilussa e Ettore Petrolini; passando per le star Egidio Pisano - Giuseppe Cioffi, Roberto Murolo, Libero Bovio, Nino Taranto ("Io, mammeta e tu") e di Renato Carosone ("Tu vuò fa l' americano"). L' excursus canoro si delinea attraverso le figure di Ferdinando Russo, Armando Gill ("Villeggiatura a Capri") e Aniello Califano, e i ritrovi di fine Ottocento. Ispirati dalla dolce vita parigina, anche i signori di Napoli si intrattenevano nei caffè chantant, nei tabarin, e nello storico Salone Margherita, regno di ammalianti sciantose, e di mosse d' anca alla Ninì Tirabusciò.
Qui il doppio senso geniale diventa assoluto testamento letterario: "M' aggia curà", "Agata", "' A casciaforte", "La cammesella", "' A tazza ' e cafè". "Il tramviere", "E non sta bene", "Cupido questo ti fa", "Sciasciarella". Ancora, "I due gemelli", "Paris Canaille" (eseguita sulle musiche di Léo Ferrè"); "Fatte fa ' a foto", e per finire "Canto malinconico", versi e ritmo scritti di recente da Gianni Mauro dei Pandemonium e Vittorio Marsiglia per tenere ancora aperta - nell' epoca dello pseudocomico trash televisivo una porta alla cara amica macchietta.
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